Il progetto Haemopal: la terza puntata

Il progetto Haemopal: la terza puntata

Chiudiamo con il vivace racconto del Prof. Gringeri la serie di impressioni di viaggio dei colleghi che hanno partecipato alla prima missione del Progetto HaemoPAL, l’iniziativa in cui Fondazione EMO è partner dell’Istituto Superiore di Sanità e delle Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria e che si prefigura come un intervento di supporto tecnico e capacity building al Palestinian Ministry of Health finalizzato all’acquisizione delle competenze cliniche e organizzative e allo sviluppo di servizi specialistici per la gestione dei pazienti affetti da malattie ematologiche congenite.

“Quel che temiamo più di ogni cosa, ha una proterva tendenza a succedere realmente”, sosteneva il filosofo Theodor Adorno, il secolo scorso. La Prima Legge di Murphy lo ha codificato una volta per tutte: “Se qualcosa può andare storto, ci andrà”.

Dopo il lungo periodo della pandemia da SARS-CoV-2, i viaggi sono ripresi ed uno dei miei primi più importanti viaggi è stato proprio quello in Palestina. Non ero più abituato a viaggiare e tutto poteva succedere e andare storto. E qui sono cominciati i problemi.

A dir il vero, già in precedenza una giovane coppia in viaggio in Palestina aveva dovuto affrontare dei problemi. Tra questi, la mancanza di alloggi all’arrivo a Bethlehem, che ha costretto la coppia a riparare in una stalla e partorire lì. Ma trascuriamo questi poco storicamente significativi esempi di sfortuna e veniamo a noi.

Comunque, qualcuno sostiene che la sfortuna non esiste, ma che sia solo un non sapere cogliere un’opportunità. Ma lo lascio giudicare a voi (…ai posteri l’ardua sentenza…).

La partenza è programmata da Firenze, treno ad alta velocità, prima classe, 90 minuti, destinazione Roma, per un volo verso Tel Aviv. Il giorno prima deragliava un treno in prossimità della stazione di Roma. Questo provoca ritardi e cancellazioni di tutti i treni! Trenitalia è irremovibile. Non posso arrivare in tempo. Bisogna che cambi programma ed affronti un lungo viaggio in auto, 3 ore e mezza, se tutto va bene.

Giungo rocambolescamente a Roma, con partenza all’aurora, e lascio l’auto in un parcheggio “lunga sosta” in aeroporto. Naturalmente, dimentico il telefono in auto (poi recuperato con non poche peripezie, per chi fosse interessato posso fornire il resoconto a parte).

Arrivato trafelato al gate solo pochi secondi prima della chiusura, realizzo che c’è però un ritardo: non c’era bisogno di correre e stressarsi tanto! Mi metto il cuore in pace. Ma l’attesa si fa lunga, poi quantificata in oltre un’ora.
Salito finalmente sull’aereo, resto schiacciato tra il finestrino e un giovane israeliano con una larghezza di spalle uguale alla lunghezza delle mie gambe, che non sono corte, credetemi (nonostante le bugie). Non parliamo di braccia e gambe del poco benvenuto vicino. L’aereo resta sulla pista di decollo per un’altra ora buona prima della partenza, aggiungendo ritardo a ritardo.

“La sfiga è un’amante fedele e non ti abbandona neanche quando sei nella merda.”
Ennio Flaiano

L’arrivo a Tel Aviv è però senza incidenti (la sfortuna si era placata? Era soddisfatta?). No. L’aereo rulla sulla pista per oltre mezz’ora prima di arrivare alla piazzuola di sosta. Ma qui manca la scaletta per scendere!

Finalmente, si arriva nel terminal: corsa verso il controllo passaporti per evitare le lunghe code. Il sistema richiede però un preventivo controllo centinaia di metri prima presso stazioni automatiche che stampano una specie di pass. Torno indietro. Stampo il pass. Corro di nuovo (o meglio cammino velocemente) verso il controllo passaporti, ma ho lasciato il mio bagaglio là dove ho stampato il pass. Naturalmente me ne rendo conto quando sono già arrivato al controllo immigrazione (corsa a riprendere il bagaglio prima che me lo facciano esplodere).

La coda è così diventata insostenibile, ma c’è sempre qualche italiano che salta buona parte della coda! Tanto gli accidenti che mi hanno sicuramente lanciato non potevano farmi di più di quanto la sorte mi aveva già riservato.

Sembra finita: la navetta per il trasferimento a Gerusalemme è lì che ci aspetta (sono insieme con Rita) e l’arrivo in albergo è senza intoppi. Ma all’arrivo alla reception ci viene segnalato che non hanno affatto la nostra prenotazione!

Il problema si risolve con ripetute domande a cui diamo le stesse identiche risposte (sì, l’albergo è quello, sì, abbiamo prenotato, sì, era solo per una notte, quella notte, sì, i nostri nomi sono proprio quelli, sì quelli sono i nostri documenti, ecc.), frenetica consultazione di pile di carte, con sottofondo di imprecazioni in una lingua aliena, telefonate e messaggi avanti indietro l’Italia. Alla fine, le prenotazioni sono magicamente saltate fuori, anche se non risultano prepagate.

Il giorno dopo era solo destinato al trasferimento a Ramallah: c’è probabilmente la possibilità di una breve visita alla Città Vecchia! La sfortuna si è stancata di me? o magari si è solo temporaneamente distratta?

Purtroppo, sono previste importanti dimostrazioni contro il caro-benzina a Gerusalemme, per cui il transfer per la Palestina deve essere anticipato alle 13:00. La spianata delle moschee, una delle maggiori attrattive, è consentita ai non mussulmani solo dalle 13:30 alle 14:30!

Facciamo buon viso a cattivo gioco e intraprendiamo questo piccolo viaggio di 40 min con la speranza degli ingenui: il traffico è già tutto bloccato! L’autista decide di tornare indietro e prendere una lunga deviazione. Dopo circa 45 min si ferma lungo la strada all’ombra di un albero. Guasto al motore? il carburante è finito? Sciopero degli autisti di navette? Bisogno fisiologico urgente? Altri passeggeri in arrivo? Qualcosa certamente comunque non va (stupiti?).

A domanda in merito, la risposta dell’autista è sibillina: “Aspettiamo un’altra auto”, che in vero non chiarisce il motivo della sosta, che si protrae per quasi un’ora. Finalmente l’autista riceve una telefonata, dopo la quale ci muoviamo, ma per solo qualche decina di metri. La navetta imbocca quindi una strada in retromarcia: realizziamo che è una strada chiusa! L’autista ci invita a scendere, scarica i bagagli: siamo in una zona completamente desertica e abbandonata. I molti film di dubbia qualità a cui sono avvezzo mi inducono a pensare che adesso ci invitino a scavare le nostre fosse prima di essere eliminati (mitragliatrice o colpo alla nuca, niente ultima sigaretta, non fumo, grazie, fa male alla salute).

Invece, l’autista prende le nostre due (piccole) nostre valige e attraversa strisciando uno sbarramento fatto di alti blocchi di cemento e dissuasori dentati. Lo seguiamo, almeno per vedere che fine faranno i nostri bagagli. Poi capiamo: abbiamo attraversato clandestinamente il confine tra Israele e Palestina!
Qui saliamo su un’auto che ci attende. Invece di un potenziale sequestro a scopo di riscatto, siamo “allegramente” condotti a destinazione, dove siamo scaricati altrettanto rapidamente.

Ci hanno portato nel posto sbagliato!

Dopo aver trovato qualcuno che capisca e parli l’inglese, realizziamo che quello è l’ospedale della Mezza Luna Rossa, che in vero sarebbe lieti di darci un letto, ma solo in corsia, ma che le nostre prenotazioni sono probabilmente da un’altra parte, alla Guest House dello stesso ospedale. Questa però è naturalmente altrove. No, non possiamo arrivarci a piedi. Dobbiamo cercarci un taxi, pagarlo anticipatamente con la moneta locale (che non abbiamo!) e sperare che a destinazione ci attendano due camere a nostro nome.

Così effettivamente accade, una volta giunti indenni, senza dover sacrificare la virtù di Rita per la causa. Camere al 10° piano, si ascende. All’arrivo al piano una persona ci corre incontro con grande allarme. Ci dice che dobbiamo tornare subito alla Reception. Alla richiesta di sapere perché, la risposta è perché così ha detto la persona della reception! Qui veniamo degradati poi al 9° piano. Distrutti dal caldo e dalla stanchezza, giungiamo finalmente nelle nostre camere.

Mi getto sul letto e mi chiedo che cos’altro possa capitarmi nelle prossime ore: siamo solo all’inizio del viaggio!

I giorni si succedono però senza grossi incidenti (il taxi della sera non sa dove portarci e non capisce una parola di quello che diciamo, la tecnologia per le presentazioni, la traduzione simultanea e il collegamento via internet entra in una specie di sciopero bianco, ecc.). Piccole cose: il trucco è stato di non scollarmi mai dal meraviglioso gruppo dei miei colleghi (poco consapevoli del rischio che correvano), in modo che la sfortuna non avesse modo di assillarmi, mentre la fortuna degli altri mitigava comunque la mia, anche quando ero da solo (caduta ripetuta del telecomando delle diapositive finché si apre in due, perdita delle chiavi della stanza, richiesta di chiave per una stanza non mia, non riesco a trovare il bancomat sotto un sole assassino, quando trovato non accetta le mie carte, ecc.).

“La sfortuna è un marciapiede per il genio, una piscina per il cristiano, un tesoro per l’uomo capace, un abisso per i deboli.”
Honoré De Balzac

(e non sono né genio, né capace, né cristiano! (sic!))

Alessandro Gringeri

Con il contributo di Alessandro Gringeri si conclude la nostra rassegna di impressioni a caldo raccolte in Palestina.

E’ passato poco più di un mese dal nostro ritorno e non c’è giorno che a turno non riceviamo contatti da uno dei pazienti di Gaza che abbiamo incontrato lì.  Ci chiede aiuto, ci dice che ha dolore, ci dice di non dimenticarci di lui. E noi non lo facciamo, ma la nostra routine quotidiana spesso ci sovrasta e noi andiamo avanti con la convinzione nel cuore che dobbiamo fare di più, che ora non possiamo fermarci.

L’organizzazione delle attività prosegue, stiamo cercando di far venire in Italia i nostri colleghi per la seconda fase della formazione. Avremo l’onore di mostrare loro come lavorano i centri emofilia italiani, cercheremo di fargli vedere in pratica quello di cui abbiamo discusso in teoria. Solo che in fondo al cuore sappiamo che gli faremo vedere una realtà che andrà ad aumentare ancora di più quel loro senso di impotenza per la mancanza di mezzi che abbiamo provato anche noi quando parlavamo con loro.

A questo punto la consapevolezza che potremo solo cercare di fare del nostro meglio, che stiamo cercando di fare del nostro meglio, è il modo migliore che abbiamo per andare avanti. La nostra sfida di dare ad altri un futuro migliore, grazie al nostro contributo, è solo all’inizio e speriamo di poter ancora contare su chi ha già partecipato e su tutti gli altri che vorranno farlo in futuro.

Le prossime tappe del progetto formativo prevederanno appunto l’internship in Italia e proseguiranno poi con un anno di formazione a distanza mediante FAD, per cui siamo già all’opera per cercare volenterosi che ci aiutino a preparare il materiale. Cercheremo di dare ai colleghi una formazione completa e nel frattempo organizzeremo un supporto in telemedicina per guidarli in corsa, al fine di consolidare la formazione e iniziare a dare risposte ai pazienti.

Questo progetto ci sta insegnando l’importanza cruciale della collaborazione, difficile da attuare e da ottenere, ma alla fine l’essere umano ha bisogno di cooperare e questa è probabilmente  la più alta manifestazione del concetto di umanità che possiamo raggiungere. Richiede intelligenza, entusiasmo, preparazione e una buona dose di rispetto reciproco e di convinzione che da tutti si può imparare. Come sempre accade quando si va per aiutare gli altri, alla fine anche noi stiamo crescendo in questa avventura, e alla fine stiamo prendendo più di quello che diamo in termini di crescita personale e acquisizione di fiducia in se stessi e negli altri.

Al termine di tutto, quindi, se avremo fatto bene il nostro lavoro, come scrivevamo in apertura, il Sistema Sanitario Palestinese sarà in grado di garantire autonomamente l’assistenza ai pazienti con disordini congeniti della coagulazione e ai pazienti affetti da talassemia, riducendo il peso socio-sanitario di queste malattie e delle complicanze e invalidità ad esse associate.

Articolo originale pubblicato per la prima volta su aiceonline.

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